Ex macello, ci vuole più pragmatismo
Opinione di Franco Marinotti apparsa sul Corriere del Ticino sabato 2 aprile 2016.
Un dibattito, quello di sabato scorso al TRA, dal quale è emersa una sostanziale confusione sul significato di autogestione nel suo senso più ampio. Da una parte si è visto un Municipio spesso impacciato e con scarsa lucidità e incisività nel produrre argomenti risolutivi e di rilievo. Dall’altra si è assistito a una radicalizzazione del concetto di disobbedienza sociale da parte di una rappresentanza di fedeli ai «molinari» a volte aggressiva e per lo più incapace, nei vari interventi, di contestualizzare ai fini del dibattito le proprie tesi in difesa di un modello alternativo di convivenza sociale certamente valido, ma non evidente nel suo insieme. È un teatrino che dura da anni e vede contrapporsi, celati sotto un copione di tiritere, le vere ragioni del contendere: da una parte il volersi riappropriare di un’area strategica, dall’altra il rivendicare il diritto di non identificarsi nel sistema democraticamente riconosciuto dal resto della popolazione, occupando e sfruttando in modo autonomo uno spazio con una metodologia di governo solo in apparenza autonomo, ma di fatto dipendente da quello ufficiale. Si tratta di posizioni inconciliabili che, senza pragmatismo e visioni a lungo termine, portano inevitabilmente a una rottura con pericolosi strascichi che non auspico né per gli uni né per gli altri. Al contrario, credo che la Città – nello spirito di immaginare e attuare formule di rispettosa convivenza – possa continuare a trarre beneficio dal mantenimento dello status quo, con ricadute positive derivanti dalle attività artistico-culturali proposte dal collettivo. Contrariamente a quanto detto più volte in fase di dibattito, il costante rafforzamento, la diversificazione e il rinnovamento del tessuto socio-culturale non sono compito del LAC: il polo culturale dev’essere un’istituzione rappresentativa di alto livello, non un generatore di movimenti artistici. La reticenza ad accettare la proposta di spazi alternativi è per certi versi comprensibile, siccome originata dalla preoccupazione per l’occupazione e l’autogestione di un luogo pubblico, ma così facendo il collettivo viene privato della libertà e dell’indipendenza dal sistema, che sono la forza trainante delle sue proposte artistiche. Sono convinto che la maturità di tutte le parti coinvolte (cittadini, autorità e collettivo) porti alla salvaguardia di un’area della Città che ha una precisa ragione di esistere, dando spazio a quella libertà di pensiero e azione che sola e senza radicalismi genera quel substrato culturale indipendente e d’avanguardia di cui Lugano ha bisogno.